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Le carte geografiche antiche

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Abate de la Caille, Globo celeste, incisione su rame, 1700

La storia della cartografia è la materia che si occupa di descrivere l’evoluzione delle carte geografiche, le diverse forme che esse hanno assunto, ma soprattutto i metodi utilizzati per effettuare i rilievi e per riportare i dati raccolti su supporti piani o solidi. Si ritiene oggi che delle rappresentazioni spaziali siano apparse già in uno stadio iniziale dell’umanità. Si trattava di raffigurazioni su materiali deperibili (legno, osso, pelle) o di schizzi sulla sabbia e perciò non si sono conservate tracce di esse.

 

Immagini di questo tipo sono tuttavia ancora documentate nel XX secolo presso popoli senza scrittura, come gli aborigeni australiani.

 

Le più antiche testimonianze conosciute di qualcosa che assomigli ad una rappresentazione cartografica non riguardano la terra, ma il cielo, così come appare di notte: sui muri delle grotte di Lascaux (Francia) sono stati infatti osservati dei puntini dipinti risalenti al 16500 a.C. in cui si possono riconoscere Vega, Deneb e Altair e le Pleiadi.

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Pagina introduttiva di un atlante del XVIII secolo

Pitture parietali ed incisioni rupestri che utilizzavano segni geometrici possono essere servite a riconoscere la forma di un dato paesaggio, come una collina o un centro abitato. Al Neolitico risale un’altra pittura parietale che assomiglia ad una carta geografica: essa fu dipinta intorno al 6200 a.C. nel villaggio di Çatalhöyük in Anatolia. Questa raffigurazione potrebbe rappresentare una pianta del villaggio stesso; tuttavia, recenti studi hanno messo in dubbio tale interpretazione.

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Homann, Planisfero celeste, incisione su rame, 1750

La carta celeste.

La carta celeste è una mappa del cielo notturno, in cui sono rappresentate le stelle e le costellazioni. Esistono diversi tipi di carte celesti: quelle che rappresentano l’intera volta celeste in forma di planisfero o doppio emisfero; quelle che rappresentano porzioni di cielo o singole costellazioni (molto precise con anche le coordinate astronomiche), e infine quelle molto dettagliate che rappresentano porzioni limitatissime di cielo. Incredibilmente, la più antica carta celeste rilevata consiste in una porzione della costellazione di Orione, intagliata in una zanna di mammuth, risalente a 32’500 anni fa.

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Sebastian Münster, Cosmografia di Claudio Tolomeo, incisione su rame, 1552

L’astronomia e Galileo Galilei

L’astronomia è la scienza che osserva e studia gli eventi celesti, le origini, l’evoluzione e le proprietà fisiche, chimiche e temporali degli oggetti che formano l’universo osservabile. Scienza antica quanto l’uomo, nacque insieme all’astrologia dal desiderio di apprendere e per motivi divinatori, rappresentando allo stesso tempo uno strumento di conoscenza e di potere. Servendosi unicamente della propria vista i primi astronomi riuscirono a stilare un calendario dei cicli stagionali e lunari, con conseguenze positive per l’agricoltura. Con l’invenzione del telescopio l’uomo riuscì a entrare più a fondo nelle dinamiche celesti, avviando una vera e propria scienza che indagherà sull’universo e le sue regole.

 

Galileo Galilei (1564-1642), padre della scienza moderna e fondatore del metodo scientifico (o sperimentale), ebbe un ruolo primario in astronomia sostenendo il sistema eliocentrico della teoria copernicana che indicava che il sole, e non la terra, fosse al centro dell’universo (più avanti si distingueranno i vari sistemi solari). Non riuscendo a convincere i teologi fu per questo accusato di eresia dalla Santa Inquisizione, costretto a rinnegare le proprie teorie e scontò una pena di 5 mesi di soggiorno coatto. A Galileo si deve anche la scoperta, o meglio la valorizzazione del cannocchiale per lo studio e l’osservazione dell’universo.

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Cloes J. Visscher, Proiezione di Mercatore, incisione su rame, 1650

La carta del mondo secondo Mercatore

Gerardo Mercatore (1512-1594), matematico, astronomo e cartografo fiammingo, è conosciuto per aver inventato un sistema di proiezione cartografica detta appunto “proiezione di Mercatore”. La terra che naturalmente è di forma sferica viene rappresentata in piano attraverso uno sviluppo cilindrico orizzontale e una distorsione allungata e graduale in verticale dall’equatore ai poli (esagerando di fatto le dimensioni delle aree più esterne). Da subito utilizzata per le carte nautiche, perché rappresentava linee di costante angolo di rotta con segmenti rettilinei; questa raffigurazione è ancora oggi la più impiegata.

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Daniël Stopendaal, Mappamondo, incisione su rame, 1700 ca.

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Jodocus Hondius, Asia nuova, incisione su rame, 1600 ca.

L’impero giapponese e i samurai

La storia moderna dell’Impero Giapponese inizia nel 1871, quando il sistema feudale fu sostituito con la creazione di governatorati e prefetture. In pochi anni le riforme burocratiche rafforzarono l’apparato governativo, creando uno stato monarchico in cui l’imperatore Meiji governava dalla nuova capitale Tokyo. Fu lo stesso Meiji a modificare lo statuto trasformando il Giappone in una monarchia costituzionale, ciò che promosse un grande sviluppo economico. La stretta sinergia tra mondo militare e mondo industriale diede il via all’espansionismo nipponico con l’acquisizione di diverse colonie nel sud est asiatico. Il Giappone puntò poi al dominio sull’oceano Pacifico e sull’intero estremo oriente attaccando la flotta americana a Pearl Harbor il 7 dicembre 1941. Gli USA entrarono così nel secondo conflitto mondiale e sconfissero il Giappone, decretando di fatto la fine dell’impero. Oggi infatti l’imperatore non ricopre ruoli politici ma rappresenta solo il simbolo della nazione.

I samurai costituivano la casta militare al tempo del Giappone feudale. Oltre a praticare le arti marziali erano molto colti e considerati i portatori dei valori nazionali. La parola “samurai” significa “servitore, guerriero”. In relazione al proprio compito, quando il nobile padrone cui era legato moriva o perdeva la fiducia di quest’ultimo, il samurai veniva chiamato “rōnin (uomo onda)”, ossia un guerriero errante alla deriva, senza dignità. Da qui, per riacquistare l’onore, spesso i samurai ricorrevano al rituale suicida dell’harakiri (o karakiri).

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Abramo Ortelio, Cina, incisione su rame, 1580

I viaggi di Marco Polo

Nato a Venezia nel 1254 da una famiglia patrizia, Marco Polo fu educato molto presto alla navigazione e al commercio. Il padre Niccolò e lo zio Matteo già nel 1266 raggiunsero la Cina dove riuscirono ad ottenere la fiducia dell’imperatore diventando ambasciatori tra l’Europa e la Cina.

Nel 1271, a soli 17 anni, seguì il padre Niccolò e lo zio Matteo in un viaggio di ambasciata che li portò ad attraversare l’Asia anteriore e l’Asia centrale, giungendo fino a Pechino, percorrendo regioni allora ignote agli europei. Là si fermarono per 17 anni alla corte del sovrano Kublai Khan il quale assegnò a Marco Polo diversi incarichi esplorativi che gli permisero di approfondire la conoscenza delle condizioni di vita, delle lingue e dei costumi di gran parte della regione asiatica.

L’ultima grande spedizione fu quella diretta in Persia, sempre con i congiunti, per accompagnare una principessa cinese. 24 anni dopo la sua prima partenza, nel 1290 Marco Polo fece ritorno a Venezia, per poi essere catturato dai Genovesi durante la battaglia navale di Curzola, al largo della Dalmazia nel settembre 1298.

Fu in quell’anno di segregazione che Marco Polo raccontò tutte le sue avventure al compagno di prigionia Rustichello da Pisa che trascrisse tutto per poi riordinare gli appunti e dare alla luce “Il Milione”. Da quanto riportato da questo suo resoconto di viaggio, i tre Polo seguirono le varie tappe di quella che solo alcuni secoli dopo verrà chiamata la “Via della seta”.

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Emanuel Bowen, Polo Nord, 1748

Il Polo Artico

Le prime esplorazioni dell’Artico risalgono già al 325 a.C., quando il navigatore greco Pitea in cerca di miniere di stagno raggiunse l’Islanda. Diverse furono in passato le spedizioni nell’Artico, ostacolate principalmente dai limiti della tecnologia navale, dalla mancanza di alimenti a lunga conservazione, e dall’insufficiente protezione contro il freddo estremo per gli equipaggi.

Spedizione al Polo Artico in una vecchia stampa

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Giuseppe Civelli, Oceania, 1850

Gli aborigeni

Nel periodo delle colonizzazioni del XVIII secolo gli aborigeni si presentavano come popoli di cacciatori e agricoltori con valori spirituali basati sulla venerazione della terra. Migrati dall’Indocina circa 50’000 anni prima, vennero ridotti del 90% dalla colonizzazione britannica, complice anche la diffusione di alcune malattie come il vaiolo. Oggi le popolazioni aborigene vivono ai margini delle città o in aree protette dell’Australia.

 

La scoperta dell’oro

Tra il 1851 e il 1860 la popolazione in Australia triplicò sull’onda della corsa all’oro nello stato di Victoria. Accorsero uomini e donne dalle varie colonie inglesi, come pure giunsero minatori da ogni parte del mondo. Nonostante le violenze e il subbuglio generale di quel periodo, la ricchezza generata dal metallo prezioso diede un forte impulso allo sviluppo dell’intero territorio australiano.

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Homann, Le Americhe, incisione su rame, 1746

Cristoforo Colombo e l’America

Cristoforo Colombo (1451-1506) fu un navigatore ed esploratore di Genova, famoso per aver dato inizio alla colonizzazione delle Americhe. Convinto che al di là delle Azzorre dovesse esserci una terra e che questa non potesse essere altro che l’Asia, cercò finanziamenti per intraprendere il suo viaggio e li trovò dai sovrani di Castiglia e Aragona. Partì il 3 agosto 1492 da Palos de la Frontera, sulla costa atlantica andalusa, a bordo della caravella Santa Maria, unitamente alle altre due Niña e Pinta. Dopo una prima tappa alle isole Canarie, la spedizione ripartì navigando per più di un mese senza riuscire a scorgere alcuna terra.

 

Il 12 ottobre i marinai della Pinta distinsero finalmente la costa. Trovato un varco nella barriera corallina la mattina seguente la spedizione sbarcò sull’isola Guanahani (San Salvador). Proprio allora terminava il Medioevo e iniziava la storia moderna. Sempre convinti di trovarsi in Asia gli intrepidi continuarono l’esplorazione spingendosi verso Cuba (dal diario di bordo si legge: “È l’isola più bella che occhio umano abbia mai visto”), la costa settentrionale di Haiti e l’isola di Tortuga per poi superare Capo d’Haiti.

 

All’alba del 16 gennaio 1493 ripartirono per l’Europa, seguendo una rotta più a nord per evitare i venti contrari imbattendosi però in violentissime tempeste prima di raggiungere le isole Azzorre. Colombo, che portò con sè oro, tabacco, alcuni pappagalli e 10 indigeni, fu accolto dai sovrani spagnoli con onori trionfali.

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Hubert Jaillot, America meridionale, incisione su rame, 1719

Lo stretto di Magellano e il canale di Panama

Ferdinando Magellano (1480-1522), esploratore e navigatore portoghese, fu di fatto il primo europeo ad addentrarsi nell’oceano Pacifico. Il suo obiettivo principale era quello di trovare una via per l’Asia più breve rispetto a quella di dover circumnavigare l’Africa. Finanziato dalla Spagna, partì con 5 navi il 20 settembre 1519 navigando verso sud ovest; dopo due mesi, un naufragio e un ammutinamento, Magellano passò finalmente lo stretto (che porta il suo nome), affacciandosi su un oceano sconosciuto e senza apparenti tempeste che battezzò “Pacifico”. Nel 1521 raggiunse le isole Marianne e poi le Filippine. Qui riuscì a convertire il sovrano al cristianesimo facendo riconoscere la Spagna come nuova autorità. Ciò però provocò una rivolta che portò all’uccisione dello stesso Magellano. Ciò che rimaneva della flotta ripartì per la Spagna: una sola nave e 18 superstiti riuscirono a ritornare nel 1522, dopo aver di fatto circumnavigato il globo in 2 anni, 11 mesi e 17 giorni.

Il canale di Panama costruito dal 1907 al 1914, poi ampliato nel 2006, è un’opera idraulica artificiale che collega l’oceano Atlantico con l’oceano Pacifico. Lungo 81,1 km, profondo 12 m e largo tra i 90 e i 300 m, è costituito da 2 impianti (risalita e discesa) composti ognuno da 6 conche poste a differenti livelli che permettono alle navi di affrontare un dislivello di 28 m per attraversare la terraferma. Il tempo di percorrenza è di circa 8-12 ore. La realizzazione del canale facilitò l’esplorazione delle regioni orientali del Sud America nonché i movimenti migratori che ne seguirono.

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Jodocus Hondius, Africa, incisione su rame, 1631

Il colonialismo in Africa

L’occupazione dell’Africa da parte di varie nazioni iniziò circa nell’XI secolo. Continente con antiche e grandi civiltà nella fascia settentrionale (Egizi e Cartaginesi), era essenzialmente abitato, nella parte subsahariana, da popolazioni tribali e nomadi. Le prime ondate coloniali videro protagonisti gli arabi musulmani che qui si rifornivano di schiavi, oro e derrate alimentari favorendo nel contempo la diffusione dell’Islam.

Nel XVI secolo le coste africane erano divenute un punto di riferimento portuale e marittimo per portoghesi, inglesi, francesi e olandesi che trattavano schiavi, merci e prodotti vari (oro, pelli, avorio, legni pregiati, caffè, pietre preziose) da importare in Europa. Più tardi venne intrapreso in grande scala anche il traffico di schiavi attraverso l’Atlantico per l’America (specie Stati Uniti), quale manodopera al servizio di grandi latifondisti.

Dalla seconda metà del XIX secolo, il colonialismo basato sul commercio di schiavi cominciò a regredire, per dare spazio al cosiddetto “colonialismo moderno” o “imperialismo”, essenzialmente basato sullo sfruttamento delle risorse dei paesi colonizzati. Diverse nazioni europee inviarono contingenti militari per occupare i territori dell’entroterra, non ancora colonizzati e abitati da poche tribù. Le popolazioni si ritrovarono così integrate in strutture politiche ed economiche create dagli europei e a loro sottomesse.

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